News / sabato 2 aprile 2016

Export online in Italia: come affrontarlo

Export online in Italia: come affrontarlo

Tutti riconoscono che l’e-commerce possa essere un incredibile facilitatore dell’export Made in Italy, soprattutto per le piccole e medie imprese, ma purtroppo la realtà dei fatti è un’altra: l’export online in Italia incide solo per il 4% (circa 6 miliardi di €) sul PIL, secondo l’ultimo report dell’Osservatorio Export del Politecnico di Milano.

Tramite i canali cosiddetti tradizionali l’export ha conosciuto un grande successo negli ultimi anni nel nostro paese, infatti tra il 2010 e il 2015 il fatturato medio delle imprese italiane all'estero è cresciuto del 18%, mentre quello sul mercato interno si contraeva del 10%; nel 2014 l’export di beni e servizi è cresciuto del 2,7% facendo dell’Italia l’ottavo esportatore mondiale di merci; tuttavia se si parla di export online i dati sono diversi.

Dei 6 miliardi di valore dell’export online italiano, solo 1,5 miliardi riguardano l’export online diretto in cui un operatore con ragione sociale italiana vende al cliente finale attraverso siti dei produttori, siti di retailer online o multicanale (Yoox) o marketplace “italiani” (eBay.it); 4,5 miliardi sono invece di export online indiretto, attraverso siti eCommerce di grandi retailer online stranieri (Zalando), i grandi marketplace (Amazon ed eBay con domini stranieri) o i siti delle vendite private internazionali (Vente-privee.com) che acquistano prodotti in Italia e li vendono in tutti i Paesi in cui operano.

Andando nel dettaglio, l’export online diretto è per lo più alimentato dal settore Fashion (70% circa), a seguire poi il Food (10%) e Arredamento/Home Design (10%); la stessa classifica vale anche per l’export online indiretto.

Presi in considerazione questi dati…

Come si può affrontare e sfruttare al meglio il canale digitale?

L’Osservatorio Export del Politecnico di Milano si propone come veicolo per creare consapevolezza e proporre dei modelli di export basati sull’e-commerce, i quali devono basarsi su 5 pilastri che devono essere definiti a livello di decisione strategica: i canali commerciali, quelli di comunicazione, di logistica, i sistemi di pagamento e la gestione delle criticità legali (dogane, normative, contratti).

Per l’ambito commerciale è necessario ad esempio decidere se servirsi di un sito e-commerce proprio, di piattaforme, marketplace, siti di vendite private e/o retailer online; per la comunicazione bisogna scegliere come mixare pubblicità tradizionale e digitale (social media, SEO, display advertising ecc.); per la logistica è necessario delineare la struttura della rete distributiva, i metodi di trasporto etc; per i sistemi di pagamento occorre analizzare strumenti, piattaforme, costi, integrazione con gli altri sistemi aziendali, sicurezza e per l’ambito legale serve realizzare un quadro completo di tutti gli aspetti doganali, di regolamentazione e contrattuali.

Queste decisioni sono determinate dal settore in cui è attiva l’azienda e dal mercato di destinazione. Nel primo report dell’Osservatorio Export del Politecnico di Milano sono stati approfonditi l’approccio all’export online dei settori Fashion e Food, i più significativi per il Made in Italy nel mondo, e i migliori modelli di export digitale verso gli Usa e la Cina, rispettivamente il primo mercato di sbocco non europeo per l’Italia e quello più promettente.

Per quanto riguarda il Food e Fashion, su 110 produttori e retailer italiani presi in considerazione, l’80% esporta con regolarità, realizzando in media il 46% del fatturato, ma circa la metà usa solo canali offline. Solo l’1% esporta con una strategia online pura, il 28% la differenzia a seconda del mercato di destinazione e il 23% utilizza una strategia multicanale. Le maggiori barriere all’export online? L’incapacità di utilizzare adeguatamente i canali online (45%), le difficoltà di comunicazione (16%), le complessità legali (16%), e le caratteristiche proprie del prodotto, basti pensare ai "freschi".

Prendendo in considerazione la Cina invece, l’e-commerce si prospetta come un elemento fondamentale per l’ingresso in suddetto paese: è possibile raggiungere grandi volumi senza investire in canali fisici, e le piattaforme dedicate all’import possono garantire l’autenticità di prodotto. Tuttavia dal report dell’Osservatorio risulta che il canale prediletto per vendere in Cina è la rete fisica di importatori locali e solo il 22% usa l’e-commerce e il 16% un sito web proprio. Ciò è dovuto agli alti costi e lenti ritorni dell’e-commerce in Cina, soprattutto a causa delle forti differenze culturali, ad esempio la gestione dei pagamenti online non è immediata come nei Paesi occidentali, e un altro grande ostacolo è l’eccessiva regolamentazione e incertezza legislativa per i fenomeni di pirateria e contraffazione.

Infine parlando degli USA, circa la metà delle aziende si rivolge a importatori o retailer fisici, a causa di vincoli normativi, complessità di comunicazione (spesso i costi per le campagne sono alti in quanto il mercato è super affollato) o di logistica distributiva per la vastità geografica del territorio e la peculiarità di ogni stato. Anche le questioni legali rappresentano un freno, in particolare la normativa fiscale e doganale, la protezione del marchio, il rispetto delle condizioni di vendita e di reso.

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